Petrolio, c’è chi soffia sui ribassi

Petrolio

La sorte ci protegga dai guru. Che continuano indisturbati a distribuire, magari in buona fede, consigli dagli esiti più che incerti. L’ultimo campione inciampato nelle previsioni errate è il colosso Goldman Sachs. Che ha appena dovuto ammettere una serie di sconfitte nelle sue visioni e nei consigli distribuiti in giro per il pianeta, come ha bene illustrato Marco Valsania sul Sole 24 Ore. Ma evidentemente non è bastato il dietro-front su cinque delle sei raccomandazioni di trading per l’anno corrente: dagli equilibri del dollaro e delle altre principali valute ai rendimenti dei titoli di Stato. Le ultime falle non inducono evidentemente alla prudenza. Ecco, immediata, la possibile recidiva. Densa di pericoli.
Sta di fatto che il numero uno degli analisti sulle commodity della celeberrima (nel bene e nel male) banca d’affari, Jeff Currie, ipotizza una caduta del prezzo del petrolio perfino al di sotto dei 20 dollari al barile. “Tutt’altro che impossibile” insiste Currie in un’intervista nella quale indica il livello internazionale degli stoccaggi di greggio come il principale fattore di rischio per il mercato oil. Le sue parole, peraltro non solitarie tra gli analisti specializzati, hanno avuto seguito, contribuendo ad una nuova spinta al ribasso delle quotazioni del barile proprio mentre i paesi produttori stanno faticosamente cercando una linea comune per frenare una caduta dei listini che sta ormai danneggiando tutti ma proprio tutti, perfino i consumatori finali, che vedono più che annullati gli sconti sui consumi energetici dalla depressione delle economie alla cui persistenza contribuiscono gli sconquassi del prezzo del barile ben al di sotto i limiti fisiologici.

Produttori spiazzati

Sappiamo benissimo quanto le previsioni alimentino i giochi del mercato, a prescindere dai fondamentali. Certo, lo scenario indica ben poche prospettive del ritorno rialzista a breve. O per lo meno del riassorbimento del tracollo. Anzi, qualche ulteriore limatura al ribasso viene indicata come probabile da non pochi analisti. La stessa agenzia internazionale dell’energia (AIE) nell’ultimo “Oil Market Report” si dice pessimista su un accordo tra i paesi produttori capace di invertire prontamente la caduta, dopo un gennaio chiuso all’insegna di un nuovo record per l’output iracheno e l’ennesimo incremento dei barili in uscita dall’Arabia Saudita, mentre l’Iran sarebbe pronto a intervenire ulteriormente controbilanciando qualsiasi frenata.
Nonostante ciò un traguardo del greggio a 20 dollari trova ben poche giustificazioni, e finisce per produrre un sostegno, magari non doloso ma ugualmente pericoloso, alle spregiudicate manovre della speculazione. E il comparto petrolifero è proprio quello più esposto, in queste settimane, non solo nelle delicatissime vicende che hanno a che fare con i corretti equilibri dei mercati finanziari ma anche per le nuove fondamenta su cui si dovrà poggiare l’augurabile ripresa. È già accaduto in passato: quando le spinte ribassiste sulle quotazioni degli idrocarburi non rispondono ai normali cicli del mercato ma diventano preda delle ondate speculative, sfuggendo ai normali equilibri negoziali tra i produttori e i consumatori, si creano le premesse per un drammatico effetto boomerang.

Circuito perverso

Oggi il mercato del petrolio del gas è lungo, in conseguenza della crisi. Alimentare la caduta dei prezzi al di là del trend fisiologico crea un circuito perverso, innescato dal blocco degli investimenti non solo negli idrocarburi (che come ben si sa, hanno un orizzonte a medio lungo termine) ma anche nelle energie alternative del futuro. Quelle più verdi, più ecocompatibili, più in linea con il mondo che verrà. Sul primo fronte la conferma di una brusca frenata è appena arrivata dall’analisi “Les investissements en exploration-production et raffinage 2015” di Ifp Energies Nouvelles (l’ex Institut Français du Pétrole), presentata a Parigi. L’istituto rileva che dopo una modesta crescita del 3% nel 2014, seguita a 4 anni di forti incrementi (+60% tra il 2009 e il 2013), gli investimenti mondiali nell’esplorazione e produzione di idrocarburi sono scesi lo scorso anno a 539 miliardi di dollari, il 21% in meno rispetto ai 683 miliardi del 2014, e quest’anno caleranno di un ulteriore 10% a 485 miliardi di dollari. Solo il Medio Oriente è sfuggito al tracollo, con investimenti in salita del 3%, mentre il Nord America e l’Europa hanno scontato le contrazioni più marcate: rispettivamente -35 e -33% rispetto a una media mondiale di -22%.

Crisi da rimbalzo

Insomma, le premesse di una crisi da rimbalzo ci sono tutte: se il mondo saprà davvero tirarsi fuori dalle secche della crisi i produttori avranno tutte le opportunità per riattivare i pozzi che ci sono, quelli in stand by e quelli mezzi scarichi. Il mercato non diventerà corto tanto presto, ma a quel punto un accordo tra i produttori per modulare la produzione potrebbe essere più facile, più agevole. E sarà grande anche la tentazione di rifarsi dei salassi passati. Così lo scenario dell’augurabile ripresa mondiale dovrà probabilmente vedersela con un poderoso rimbalzo del greggio. Anche qui a livelli ben oltre l’augurabile altalena fisiologica. Con un fenomeno speculare a quello prodotto dal trend ribassista di oggi. Il risultato sarà lo stesso: un freno, appunto, alla ripresa.

Tratto da: Il Sole 24 Ore

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